Modena tra leggende e tradizioni | NonSoloBuono
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Stefania Fregni
3 minuti

MODENA TRA LEGGENDE E TRADIZIONI

Le nostre città sono ricche di leggende e tradizioni di ogni tipo che le raccontano e caratterizzano. Conoscerle, oltre che affascinarci, ci aiuta ad approfondire le origini di quanto ci circonda.

Sicuramente una delle leggende più famose di Modena è quella che ha per protagonista il suo Patrono: San Geminiano, vescovo della città e figura mitica alla quale i modenesi sono molto legati. Ogni 31 gennaio si celebra la sua festa: il centro storico si riempie di bancarelle e i fedeli sono chiamati al Duomo per rendere omaggio alle reliquie del Santo. La leggenda racconta che, al tempo delle invasioni barbariche, San Geminiano riuscì a salvare Modena da Attila e i suoi Unni facendo calare una fitta nebbia sulla città in modo da nasconderla al loro passaggio.

Un’altra storia che mi è sempre piaciuta è quella della “Bonissima”, la statuetta che si affaccia su Piazza Grande, collocata ad angolo sulla facciata del Palazzo Comunale, tra via Castellaro e la piazza appunto. Anche se non se ne conosce l’identità, si narra che fosse una ricca dama che durante una carestia sfamò il popolo chiedendo aiuto agli altri nobili. Superata l’emergenza, la donna festeggiò nel suo palazzo con tutta la popolazione, escludendo però chi non l’aveva sostenuta.

Diversi poi sono i racconti legati alle specialità e tradizioni gastronomiche della mia terra, primo fra tutti quello sull’origine del tortellino. La versione più accredita colloca la nascita di questo piatto a Castelfranco Emilia per mano del proprietario dell’Osteria Corona che, spiando dal buco della serratura una sua ospite (nella “Secchia Rapita”, il famoso poema del Tassoni, si dice che fosse addirittura Venere), rimase così colpito dalla sensualità dell’ombelico da volerne riprodurne la forma con la sfoglia. A Castelfranco, in piazza Aldo Moro, oggi si può ammirare l’opera di Gianni Ferrari, con al centro un grande tortellino di bronzo, che riproduce la scena dell’oste intento a osservare la donna.

Anche la nascita dello Zampone è legata a una leggenda. Nel 1511 le truppe di Papa Giulio II assediarono la città della famiglia dei Pico, Mirandola, alleata ai Francesi, lasciando i suoi abitanti stremati e affamati. L’unico bene che ancora rimaneva loro erano i maiali che mai e poi mai avrebbero ceduto al nemico. Fu quindi un lampo di genio di uno dei cuochi di corte che portò alla creazione dello Zampone: gli animali furono macellati e la loro carne fu conservata, tritata e speziata, in un involucro fatto della pelle delle zampe… una forma così originale che decretò il successo di questa preparazione nei secoli.

Che dire poi dei borlenghi! Tante sono le leggende sulla loro origine rivendicata in pratica da ogni paese dell’Appennino modenese. Specialità di questa zona, i borlenghi sono fatti di una pasta sottilissima, di forma circolare ripiegata in quattro, e ottenuta dall’impasto di acqua (o latte), farina e sale (talvolta uova). Come per le crescentine e il gnocco fritto, questa preparazione nasce dalla necessità di sostituire il pane e far bastare la farina. Così questa invenzione fu indispensabile per le truppe messe sott’assedio nel 1396 dall’esercito del conte Giovanni da Barbiano a Vignola e per quelle Ghibelline rifugiatesi a Guiglia nel castello di Ugolino nel 1266. A Montombraro, frazione di Zocca, si narra invece che il borlengo sia nato come “burla” grazie a un nobile locale che invitò conoscenti e amici con la promessa di un pasto abbondante, prendendosi così gioco di loro. Gli ospiti però rimasero talmente tanto entusiasti dalla prelibatezza assaggiata da insistere per essere chiamati nuovamente.

Concludo parlandovi dei racconti associati al nocino e al bensone. Il nocino è un liquore tradizionale ottenuto dalla lavorazione delle noci poi macerate in alcool. Le sue origini non sono certe e spesso s’intrecciano a storie di streghe e incantesimi, tipicamente collegati al simbolismo dell’albero di noce. La tradizione vuole che la preparazione delle noci, raccolte a giugno, nella notte di San Giovanni, finisca non a caso proprio il 31 ottobre…
Il bensone, invece, è un dolce molto antico. Già nel 1300, era offerto in dono a fabbri e orafi nel giorno di Sant’Eligio (l’1 dicembre) protettore della categoria. Alcune fonti azzardano che l’etimologia del nome provenga dal francese “pain de bendson”, pane di benedizione, poiché le donne avevano l’abitudine di far benedire il dolce in chiesa in occasione di alcune festività religiose.

Trascorrerei ore a documentarmi e scrivere di leggende e tradizioni gastronomiche e non, ciò nonostante, sono sicura, non riuscirei lo stesso a raccontarle tutte. Avvincenti, curiosi, a tratti divertenti, questi racconti sono parte integrante del nostro patrimonio culturale e delle nostre comunità. Impossibile non rimanerne conquistati! ????

(www.mymodenadiary.it)

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