“Date a un bambino un foglio di carta, dei colori e chiedetegli di disegnare un’automobile, sicuramente la farà rossa”. Enzo Ferrari ha ragione, l’auto per antonomasia è rossa perché l’auto per eccellenza è la Ferrari.
La protagonista di Cars è rossa, l’album “Travelling without moving” dei Jamirquai è dedicato alla rossa e tra i caduti al fascino del cavallino rampante possiamo citare Steve McQueen, Clint Eastwood, Miles Davis… In effetti, potendosela permettere, chi non ne desidererebbe una?
Poi c’è la Ferrari 250 GTO che, grazie alla sentenza di un tribunale, smette di essere automobile e diventa opera d’arte. Sì, come La Gioconda, il David di Michelangelo e la Divina Commedia e non è che uno dei capolavori in 70 anni di produzione.
Le umili origini e il sogno di diventare Enzo Ferrari
Come diceva Sergio Marchionne “pensare che Enzo Ferrari sia nato nell’Ottocento pare incredibile” così come la storia dell’uomo che di umano ebbe solo le tragedie. Segnato nel 1916 dalla perdita del padre e del fratello, si trasferisce a Torino sperando di essere assunto alla FIAT, ottenendo un cortese diniego. Solo, povero e infreddolito, incontra Laura Garello che diventerà sua moglie e sarà proprio lei a suggerire il nome della prima auto “Ferrari, come ha fatto Bugatti con la sua“. Con lei avrà un figlio, Dino, che morirà giovane come molti dei suoi piloti.
“La mia adolescenza ha conosciuto tre passioni dominanti: tenore d’operetta, giornalista sportivo, corridore d’automobile. Il primo sfumò per mancanza di voce, il secondo resistette, ma in forma velleitaria; il terzo ebbe il suo corso, la sua evoluzione. É sempre bene avere dei sogni di riserva”. Ma se era molto povero, dove trovò il denaro per gareggiare? Visitando il suo Museo di Modena scopriamo che “Questa casa è stata venduta da Enzo Ferrari quando aveva vent’anni per comperare la prima macchina da corsa: l’inizio del Mito”. Un predestinato quindi, un ragazzo d’officina che si divertiva a collaudare telai, appassionato di corse più di ogni altra cosa, “aveva sognato di diventare Enzo Ferrari e lo è diventato“.
Quando Ferrari iniziò a correre, l’automobilismo era roba da temerari, alla seconda corsa si cimentò nella Targa Florio del 1919 ma l’avventura cominciò subito male: la mattina della partenza rimase bloccato in ascensore e arrivò al traguardo quando il pubblico e i cronometristi erano già andati via. Se per lui “fortuna e sfortuna non esistono” da quel momento eviterà ascensore, aereo e treno.
Nel 1920 comincia a correre con l’Alfa Romeo che all’epoca era un club per non professionisti. In pochi anni trova la stabilità economica e vince la prima edizione del Gran Premio del Circuito del Savio. Fu in quell’occasione che la madre di Francesco Baracca gli consegnò il simbolo che l’aviatore portava sulla carlinga, un cavallino rampante, e gli disse: «Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna».
Le scuderie Ferrari, la ricerca della perfezione e l’amore per la cucina
A partire dal 1932, questo simbolo con lo sfondo giallo in onore di Modena, la sua città natale, splende sul rosso delle vetture della Scuderia Ferrari ma la prima vittoria arriverà a Silverstone nel 1951 battendo proprio l’Alfa Romeo.
Ferrari uomo e Ferrari auto crescono, uniti da velocità, innovazione e vittorie, sempre alla ricerca della perfezione. Un lavoro quotidiano con i migliori professionisti del settore, tutti accomunati da una grande passione per il mestiere. Sì perché durante un Gran Premio successe che i meccanici erano in ritardo e invece di andare al ristorante decisero di recuperare un pentolone, far bollire l’acqua con la fiamma ossidrica e cucinare spaghetti al pomodoro. Al ritorno dalla gara, Enzo Ferrari si accorse subito della nota spese sensibilmente più bassa. Compiaciuto della trovata, istituì il motor home, il regno dei cuochi su ruote, dove il celebre Luigi Montanini, detto Pasticcino, cucinò per tutti negli anni. Oggi è il patron dell’omonimo ristorante a Castelnuovo Rangone.
Se il carattere di Enzo Ferrari non era tipicamente modenese, lo erano i suoi gusti a tavola. Quando era a Maranello si fermava a prendere un caffè al ristorante Cavallino e a decidere il menù del giorno con il gestore. In un ipotetico Gran Tour dei locali preferiti c’erano poi: Oreste a Modena, fino a quando il ristoratore non si dimenticò di togliere dalla giacca la spilla della Maserati, Fini, dove portò lo Scià di Persia, Rossellini e Ingrid Bergman, l’Aurora di Tortona dove iniziò la collaborazione con Pininfarina, La Piola che per lui reinventò “i tortellini della misericordia” senza carne, e poi la pizza allo Smeraldo di Lello perché quando era entrato la prima volta gli aveva riservato l’intero locale solo per lui.
Il genio riservato, competitivo e instancabile
Enzo Ferrari “non era un emiliano buontempone, era un uomo che viveva con se stesso e che si faceva ragionevole compagnia“, “per lui esistevano solo il rumore delle sue macchine e il silenzio delle sue riflessioni”. Sempre nascosto dietro a un paio di occhiali da sole, era una questione di stile, sì, ma anche un filtro… “Metto le lenti scure perché non voglio dare agli altri la sensazione di come sono fatto dentro“. Per tutti diventa il Cavaliere, il Commendatore, l’Ingegnere, il Mago, il Patriarca, il Grande Vecchio, Penna Bianca, l’Omone o “Il Drake“, quest’ultimo riferito al corsaro Francis Drake e coniato dagli avversari inglesi in un mix di accusa e ammirazione per la capacità di perseguire risultati sportivi molto superiori alla sua piccola azienda e per la gestione “dittatoriale” del team. A volte la sua impazienza alle prove era tale da non riuscire ad aspettare la fine ma già a metà giro voleva sapere se la prestazione fosse migliorata e poi era talmente competitivo che, quando le Ferrari arrivavano prima e seconda, si dispiaceva non ce ne fosse una terza a completare il podio.
“Io credo che le fabbriche siano fatte di macchine, di muri e di uomini. La Ferrari è fatta prima di tutto di uomini” era solito ribadire. Il Drake si è dimostrato in più occasioni estremamente premuroso nell’aiutare i dipendenti e i loro cari sostenendo personalmente le cure mediche troppo onerose. Era un padre padrone: padre per come rispondeva alle esigenze di tutti, padrone perché molto geloso dell’azienda al punto da far erigere una fonderia all’interno della fabbrica così che nessun progetto dovesse uscire dal perimetro aziendale. La sua festa dei 90 anni non poteva che essere nello stabilimento con i 1800 dipendenti ed è stata l’unica volta in cui si sia fermata la produzione.
Nel giugno del 1988, sentendosi agli sgoccioli della sua avventura terrena che finirà un paio di mesi dopo, chiamò il suo fornitore di Lambrusco ordinando le bottiglie per tutte le persone che erano solite riceverle a Natale così che anche quell’anno potessero beneficiare del consueto dono. Chissà la sorpresa nel ricevere un regalo così e pensare a quando diceva “sono tranquillo, anche se non sereno, anche se così terribilmente imperfetto. Non mi sono mai pentito. Rammaricato, spesso, pentito mai, perché ripeterei le stesse azioni, comportandomi però in modo completamente diverso. Nella mia vita ho fatto quello che mi faceva piacere, non ho credito con nessuno. Mi sono limitato a fare quello che ho fatto, ma forse nell’altro Pianeta avrò più successo”.
Un’eredità per l’umanità intera
Per fortuna ci ha lasciato una splendida raccolta di quelle auto rosse che ci fanno sempre girare quando passano, una collezione unica in mostra al Museo Ferrari di Maranello, a un passo dallo stabilimento e dal circuito di Fiorano. Qui sono esposte le vetture stradali più leggendarie e le Hypercars, ovvero i capolavori che hanno stravolto gli standard tecnologici e prestazionali diventando pietre miliari nella storia delle quattro ruote.
La sensazione entrando nella Sala delle Vittorie è inesplicabile: uno spazio concepito per le purosangue che hanno trionfato nella massima competizione e tutti i trofei conquistati in oltre 70 anni di gare. Un gigantesco altare alla perfezione dove “correre era ciò che contava davvero, una grande mania alla quale bisogna sacrificare tutto, senza reticenze, senza esitazioni” pur di vincere. La Nasa, l’agenzia spaziale degli Stati Uniti, ha collaborato più volte con Maranello alla ricerca di materiali applicabili alle astronavi ed è in sviluppo il progetto dei propulsori che entro 20 anni dovrebbero portare il primo uomo su Marte. “Spesso mi chiedono quale sia stata la vittoria più importante di un’autovettura della mia fabbrica e io rispondo sempre così: la vittoria più importante sarà la prossima“.