L’isola delle rose, massimo esempio di ingegno Emiliano | NonSoloBuono
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La Redazione
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L’ISOLA DELLE ROSE, IL MASSIMO ESEMPIO DI INGEGNO EMILIANO

Vi siete sempre chiesti come sarebbe vivere su un’isola indipendente? Se la risposta è sì, questa storia vi piacerà.

Il 1° maggio 1968, l’imprenditore bolognese Giorgio Rosa dichiarò Stato indipendente l’Isola delle Rose: un progetto allora visionario. Non si trattava di una comune lingua di terra, ma di una piattaforma artificiale costruita nel Mar Adriatico, a circa 500 mt a largo dalle acque nazionali, proprio in terra di nessuno. Il nome deriva dalla sua bandiera: arancione con 3 rose rosse su sfondo bianco.

L’isola si estendeva su 400 mq: 5 piani suddivisi tra bar, aree ricreative, attività commerciali e uffici a disposizione dei turisti che durante l’estate animavano le spiagge della Riviera Romagnola.

I primi a poter godere di quell’esperienza esclusiva furono Pietro Bernardini, che diventò il custode, Franca Serra e Luciano Ciavatta, una coppia di riminesi addetti alla gestione del bar nonché sognatori di un mondo che avrebbero voluto inventare.

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La piattaforma era completamente indipendente, i costi da affrontare si limitavano all’affitto: 1350 mila Lire l’anno. Avevano individuato una falda in profondità per essere persino autonomi nell’approvvigionamento di acqua potabile. C’era anche l’intenzione di coniare una moneta, la “Mills”, ma non fu mai prodotta, e l’idea di creare lingua chiamata “Esperanto”. Furono però ideate e prodotte 5 serie di francobolli.

Durante quell’estate la stampa italiana non risparmiò i titoli in prima pagina e l’opinione pubblica cominciò a fantasticare su ciò che sarebbe diventata l’Isola delle Rose: la Las Vegas d’Europa o una Cuba all’italiana? In breve tempo la notizia si diffuse e le imbarcazioni di turisti curiosi diventarono sempre più frequenti: giornalmente decine di navette partivano dalla terra ferma per raggiungere l’isola. Tutti spinti dall’entusiasmo di voler condividere quella grande novità, in cerca di un’esperienza unica alla scoperta di un mistero tutto da raccontare.

Non furono rare le proposte di acquisto e richieste di cittadinanza, così come le tante lettere di stima per sostenere l’Ingegner Rosa.

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Un progetto ambizioso per quell’epoca, al limite della follia si direbbe. Da dove nacque quell’idea? Per rispondere a questa domanda dobbiamo scavare a fondo nella vita di un uomo dalla genialità non comune. Chi era Giorgio Rosa?

Ostinato e testardo, un anarchico visionario e idealista. Giorgio Rosa si laureò in ingegneria meccanica all’Università di Bologna e diventò presto un professionista dalla precisione scrupolosa: lavorò in Ducati, in un tribunale come perito, in un Istituto Tecnico come insegnante. Nel dopo guerra italiano dove lo Stato imponeva leggi e regole severe, Giorgio Rosa coltivava l’idea di costruirsi la propria immagine di libertà.

L’Isola delle Rose rappresentava quel sogno rivoluzionario, simbolo di un’ideale che è stato frainteso dalle autorità con l’intenzione di approfittarsi dei turisti, raccogliendo proventi senza pagare le dovute tasse.

Il momento più felice” – dichiarò Giorgio Rosa – “fu quel lontano primo maggio dove in compagnia di altri 6 ingegneri professionisti amanti della libertà, organizzammo un pranzo proprio lì sull’isola”.

 

Che fine ha fatto l’Isola delle Rose?

Le pressioni da parte dello Stato divennero sempre più frequenti, finché il 25 giugno del 1968 l’isola non venne presidiata militarmente.

La piattaforma venne abbattuta nel febbraio 1969 con due tonnellate di esplosivo per ordine del tribunale di Bologna. Ciò che rimase fu portato via dal mare, fino al 2009, quando i resti di quel telaio metallico su cui si appoggiava l’Isola furono trovati.

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Dal romanzo al film Netflix: una storia vera che merita di essere raccontata

Ne scrisse Walter Veltroni con l’aiuto del figlio di Giorgio Rosa, Lorenzo, nel romanzo del 2013 dal titolo “L’isola e le rose” ma è Sidney Sibilia a rendere mainstream questa incredibile vicenda realizzandone il film prodotto da Netflix con Elio Germano, premiato al Festival di Berlino 2020 per la sua formidabile interpretazione dall’accento romagnolo.

A chi si domanda se ci sarebbe oggi spazio per una “Nuova Isola Delle Rose” Giorgio Rosa risponderebbe con fermo scetticismo, per via di quel concetto di libertà che, a suo parere, in Italia è sempre rimasto solo un’utopia.

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