Con la parola “rezdora” ci sono cresciuta. Dalle mie parti (in Emilia) se si pensa a una rezdora viene subito in mente una cuoca provetta di una generazione “lontana” indaffarata quasi tutti i giorni a tirare la sfoglia
Questo termine, però, ha un significato molto più profondo che risale addirittura alla società emiliana rurale dei secoli passati. Facciamo quindi un passo indietro per scoprire insieme chi erano le “rezdore” e in che contesto nasce questo vocabolo che ancora oggi si sente usare spesso.
“Rezdora”,”resdora”, “arzdoura” o“arzdaura” sono tutte parole dialettali (derivanti dal verbo latino “regere”, che vuol dire “dirigere”) con cui, nelle campagne emiliane, si chiamava la moglie dell’“azdour”, cioè il capofamiglia. Letteralmente significa “reggitora” o “colei che conduce”, quindi la rezdora era la persona che affiancava il “rezdor” nella gestione della vita famigliare quotidiana con il compito di amministrare la casa ed essere responsabile di tutto quello che accadeva all’interno delle mura domestiche.
Immaginiamo per un momento di poter viaggiare nel tempo e di essere catapultati in un’epoca lontana. Siamo nelle belle campagne emiliane, è l’alba di un nuovo giorno. La vita qui inizia molto presto. Mentre il capofamiglia saluta tutti ed esce di casa per andare nei campi, la nostra rezdora inizia le faccende domestiche e non: accudisce i figli (tanti, a volte fino a 10/12 per nucleo famigliare), si occupa dell’orto, cura gli animali del cortile, tesse e fila, miete, raccoglie il foraggio per il bestiame e addirittura vendemmia. Tutte le altre donne della famiglia, figlie e nuore, dipendono da lei. “Qui comando io”: sono tre semplici parole che ripete con fermezza quando viene messa in discussione la sua autonomia decisionale nella casa che amministra.
La rezdora, quindi, non era semplicemente la “donna di casa” ma rappresentava molto di più: aveva un ruolo ben definito, una funzione sociale precisa. Se poi era anche una brava cuoca, allora faceva la fortuna non solo della propria famiglia ma dell’intera comunità! Energica e vigorosa, nel fisico e nella mente, la rezdora era una donna giudiziosa e perspicace, “la cui giornata iniziava tirando su il sole dalla terra per riporlo alla sera, appendendo la luna tra le nubi” (Gian Marco Pedroni, 2013, “Tortellino, grazia e ricchezza”, Bologna, Edizioni Pendragon).
Nell’immaginario collettivo, la rezdora è una donna robusta, con braccia forti e modi decisi ma allo stesso tempo gentile, di buon senso, non troppo sentimentale, molto concreta, in grado di affrontare le tante difficoltà della vita del tempo, una vita che noi oggi facciamo fatica anche solo ad immaginare. Il lavoro, i figli e le preoccupazioni, aumentate con l’arrivo della guerra, ne hanno temprato il carattere, facendola diventare “una roccia”, un vero e proprio punto di riferimento per tutti.
In seguito ai cambiamenti della società e alla scomparsa della tradizionale famiglia patriarcale contadina, la figura della rezdora così descritta va scomparendo ma rimane il termine tuttora usato per indicare una brava massaia e un’ottima cuoca.
Oggi, la rezdora è una figura mitizzata, amata, a volte invidiata da chi in casa non l’ha più. Per la mia generazione, il più delle volte coincide con la nonna.
La rezdora è stata il motore della cucina emiliana, la sua memoria storica, un personaggio cui sono legati tutto il patrimonio e la tradizione gastronomica della regione. Del resto, probabilmente, non esisterebbero i tortellini o tante altre prelibatezze se non ci fossero state le rezdore!